Jun 6, 2010

Inno nazionale, lacrime, donne.

Succede che un quarantacinquenne con solide convinzioni, diciamo, internazionaliste si commuova ascoltando l'inno nazionale. Sì, il nostro patetico amato odiato "italienische zumpappà" di Goffredo Mameli. Condizione aggravante: questo accade davanti al televisore che trasmette la finale di un torneo di tennis. Il quarantacinquenne davanti alla tv sono io e Francesca Schiavone è la prima donna italiana che vince il torneo internazionale di Parigi, sulla terra rossa del Roland Garros. Entra nella storia dei grandi sportivi quasi stupita di se stessa, ma entusiasta. Ha uno sguardo e un sorriso disarmanti. Bacia la terra, abbraccia e bacia il trofeo. Ha l'aria di una donna davvero decisa e dura, ma allegra. In una parola: bella. Non bella come son belle le veline, bella.
Ma il punto non è questo, il punto è che quando annunciano il suo nome e suonano l'inno di Mameli lei sorride soddisfatta, canta tra sé e trasmette attraverso lo schermo del televisore l'immagine che vorresti avesse l'Italia in giro per il mondo. Non cialtrona, non sbruffona, non furbetta. Simpatica e basta. Che arriva magari un po' in ritardo, poco abituata agli onori del mondo, ma si impegna sempre fino all'ultima goccia di sudore. Francamente, solo una donna può contenere il misto di smarrimento, solidità, forza e dolcezza che aveva oggi il volto di Francesca Schiavone. E mi piacerebbe fosse il volto di noi che viviamo in questo paese complicato.